Secondo l’interpretazione consolidata della giurisprudenza l’assicurazione contro gli infortuni è riconducibile nella tipologia dell’assicurazione contro i danni.
L’obbligo dell’assicuratore di pagare l’indennizzo ha natura di debito di valore o di debito di valuta? Come si calcola l’indennizzo?
A queste domande risponde la Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, con l’ordinanza 24 ottobre 2017, n. 25099.
Con il provvedimento in esame la Suprema Corte, dopo aver confermato l’orientamento tradizionale che ha ricondotto l’assicurazione contro gli infortuni nella tipologia dell’assicurazione contro i danni, ha risposto al quesito se l’obbligo di corresponsione di un indennizzo da parte dell’assicuratore abbia natura di debito di valore o di valuta e, di conseguenza, come vada calcolato.
Va preliminarmente chiarito che, nonostante l’assenza di una disciplina volta a distinguere le due tipologie di debiti pecuniari, costantemente in dottrina (ex plurimis, v. ASCARELLI, Studi giuridici sulla moneta, Milano, 1952, passim; DELLA MASSARA, Obbligazioni pecuniarie, Padova, 2011, 74; DI MAJO, Interessi e debiti di valore, in Corr. giur., 1995, 462) e in giurisprudenza è stato elaborato un criterio incentrato sull’oggetto della prestazione: se il debito è immediatamente identificabile in termini pecuniari, e come tale è soggetto al principio nominalistico ex art. 1277 cod. civ., è di valuta, non rilevando l’eventuale indeterminatezza della prestazione pecuniaria, suscettibile di esatta quantificazione solo all’esito dell’operazione di liquidazione (cfr., Cass. civ., Sez. I, 24/07/2000, n. 9691); nelle obbligazioni di valore, l’oggetto diretto ed originario della prestazione consiste in un quid diverso dal denaro, rappresentando la moneta solo un bene sostitutivo di una prestazione con diverso oggetto (tra le altre, si segnala Cass. civ., Sez. III, 22/06/2007, n. 14573). Con la conseguenza che «per i debiti di valore non si pone, quindi, un problema di rivalutazione monetaria, difettando il presupposto di una obbligazione originariamente pecuniaria» (così, Corte Cost., 26/05/1981, n. 76), considerato che il debito di valore si converte in obbligazione pecuniaria solo al momento della aestimatio rei.
La finalità della categoria del debito di valore è di sottrarre ai rischi relativi alla svalutazione monetaria il creditore insoddisfatto di un valore, non predeterminato in termini monetari (Cass. civ., Sez. I, 20/06/1990, n. 6209).
Mentre il principio nominalistico, come si legge nella Relazione al Codice civile, «consente di raffigurare i debiti pecuniari come entità costanti e cioè di ridurre a certezza l’entità economica di ogni debito» (Relazione del Ministro Guardasigilli al Codice Civile del 1942, Roma, 1943, 126, n. 592), così privilegiando la sicurezza del traffico giuridico, il principio valoristico rende il debito un’entità variabile, in costante rivalutazione, che tiene conto del mutamento di valore del denaro nel tempo. Ne discende che il debito di valuta fa ricadere sul creditore il rischio della perdita del potere di acquisto del denaro nel tempo e, al contrario, il debito di valore accolla quel rischio al debitore.
Tanto premesso, da sempre controverso è stato il dibattito in giurisprudenza circa l’inquadramento dell’obbligazione dell’assicuratore per l’indennità contro i danni.
Secondo un primo orientamento, l’obbligazione dell’assicuratore per l’indennità non è un’obbligazione di risarcimento del danno da fatto illecito, ma sorge ex lege dal contratto di assicurazione, avendo, sin dall’origine, ad oggetto una somma di denaro e, pertanto, essendo il relativo adempimento regolato ai sensi dell’art. 1277 cod. civ. Con la conseguenza che, essendo il ritardo nell’adempimento dell’obbligazione disciplinato dall’art. 1224, comma II, cod. civ. oltre la somma corrispondente al debito originario ed agli interessi legali che sono dovuti indipendentemente dalla prova del danno ex art. 1224, comma I, cod. civ., va riconosciuto a favore del danneggiato il risarcimento del maggior danno, se ne è data dimostrazione. Peraltro, quando il giudice di merito, una volta accertato che, nel periodo per cui si è protratto il ritardo nell’adempimento, vi è stata una perdita di valore della moneta superiore al saggio degli interessi legali, ritiene provato che il creditore abbia patito un danno pari a tale svalutazione ed attribuisce al creditore la corrispondente rivalutazione, che esaurisce il danno subito e, pertanto, non sono dovuti anche gli interessi (in tal senso, v. Cass. civ., Sez. III, 25/06/1997, n. 5675).
Secondo altra tesi, l’obbligazione assunta dall’assicuratore contro i danni è un debito di valore, come emerge dal costante riferimento al risarcimento del danno ed al valore della cosa assicurata negli artt. 1905 e 1908 cod. civ., che assolve la funzione reintegrativa della perdita subita dal patrimonio dell’assicurato ed è, di conseguenza, suscettibile di automatico adeguamento alla stregua della sopravvenuta svalutazione monetaria (cfr., Cass. civ., Sez. III, 28/07/2015, n. 15868; Cass. civ., Sez. III, 7/05/2009, n. 10488; Cass. civ., Sez. III, 12/02/2008, n. 3268; Cass. civ., Sez. III, 30/03/2001, n. 4753).
Tale conclusione è stata condivisa dall’ordinanza della Suprema Corte che ha affermato che «l’assicurazione contro gli infortuni sia riconducibile nella tipologia dell’assicurazione contro i danni, e che in tema di assicurazione conto i danni, l’obbligo dell’assicuratore di pagare l’indennizzo, anche se esso sia stato predeterminato in una somma fissa o in un valore a punto percentuale, assolvendo una funzione reintegratoria della perdita subita del patrimonio dell’assicurato, ha natura di debito di valore, con la conseguenza che esso deve essere necessariamente rivalutato con riferimento al periodo intercorso tra il sinistro e la liquidazione, pur se non vi sia inadempimento o ritardo colpevole dell’assicuratore, rilevando la condotta del debitore solo dal momento in cui, con la liquidazione, il debito indennitario diventa obbligazione di valuta, e tanto ai fini del riconoscimento, da tale momento, a titolo di risarcimento, degli interessi moratori o del maggior danno ex art. 1224 cod. civ.».
I giudici di legittimità hanno, peraltro, ritenuto che l’indennizzo assicurativo, essendo un credito di valore, debba essere rivalutato: al creditore danneggiato, in particolare, va corrisposto anche il danno da mora, vale a dire il c.d. lucro cessante finanziario – consistente nella liquidazione del danno da ritardato adempimento di un’obbligazione di valore, qualora il debitore abbia pagato un acconto prima della liquidazione definitiva, che deve avvenire devalutando l’acconto e il credito alla data dell’illecito; detraendo l’acconto dal credito; calcolando gli interessi compensativi individuando un saggio scelto in via equitativa ed applicandolo sull’intero capitale, rivalutato anno per anno per il periodo che va dalla data dell’illecito al pagamento dell’acconto; sulla somma che residua dopo la detrazione dell’acconto, rivalutata anno per anno, per il periodo che va dal suo pagamento fino alla liquidazione definitiva (in tal senso, v. Cass. civ., Sez. III, 20/04/2017, n. 9950) – ovvero i frutti che il denaro dovutogli a titolo di indennizzo assicurativo avrebbe prodotto sin dal giorno del sinistro, in caso di immediato pagamento.
Il danno da ritardato pagamento dell’obbligazione risarcitoria si può liquidare applicando un saggio di interessi scelto dal giudice equitativamente sul credito risarcitorio rivalutato anno per anno o secondo uno degli altri criteri evincibili dalla sentenza a Sezioni Unite del 17/02/1995 n. 1712, il cui iter logico della motivazione porta a ritenere che la liquidazione del danno da mora nelle obbligazioni di valore deve tenere conto di quel che il creditore avrebbe potuto ricavare dall’investimento della somma a lui dovuta, qualora fosse stato tempestivamente soddisfatto. Al riguardo, la Suprema Corte ha rinviato alla sentenza del 10/10/2014 n. 21396 che, in tema di liquidazione del danno biologico permanente, ha indicato dei criteri alternativamente utilizzabili ed in particolare quello di applicare un saggio di interessi scelto in via equitativa dal giudice o sulla media tra il credito rivalutato alla data della liquidazione e lo stesso credito espresso in moneta al momento dell’illecito ovvero, per l’identità di risultato, sul credito espresso in moneta all’epoca del fatto e poi rivalutato anno per anno.
Ha, inoltre, precisato che tali interessi si producono dalla data in cui si è verificato il danno (coincidente, per il danno biologico permanente, con quella del consolidamento dei postumi) fino al tempo della liquidazione e, successivamente, sull’importo costituito dalla sommatoria di capitale e danno da mora, ormai trasformato in obbligazione di valuta, maturano interessi al saggio legale ai sensi dell’art. 1282, comma I, cod. civ.
Da ultimo, è stato puntualizzato che in caso di percezione di acconti, vanno compiute delle operazioni di calcolo aggiuntive, secondo i criteri fissati da giurisprudenza di legittimità sul punto costante che ha affermato che «qualora, prima della liquidazione definitiva del danno da fatto illecito, il responsabile versi un acconto al danneggiato, tale pagamento va sottratto dal credito risarcitorio attraverso un’operazione che consiste, preliminarmente, nel rendere omogenei entrambi (devalutandoli, alla data dell’illecito ovvero rivalutandoli alla data della liquidazione), per poi detrarre l’acconto dal credito e, infine, calcolando, gli interessi compensativi finalizzati a risarcire il danno da ritardato adempimento – sull’intero capitale, per il periodo che va dalla data dell’illecito al pagamento dell’acconto, solo sulla somma che residua dopo la detrazione dell’acconto rivalutato, per il periodo che va dal suo pagamento fino alla liquidazione definitiva» (così, Cass. civ., Sez. I, 1/12/2016, n. 24539. Cfr., Cass. civ., Sez. III, 20/04/2017, n. 9950; Cass. civ., Sez. III, 19/03/2014, n. 6347).
Fonte: Altalex
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