malattia-professionale-corretto-inquadramento-normativo-evita-perdita-dei-benefici-economici
L’accertamento dell’inclusione nelle apposite tabelle sia della lavorazione che della malattia (purché insorta entro il periodo massimo di indennizzabilità) comporta l’applicabilità della presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall’assicurato, con la conseguente insorgenza a carico dell’INAIL dell’onere di dare la prova di una diversa eziologia della malattia stessa e, in particolare, della dipendenza dell’infermità, nel caso concreto, da una causa extralavorativa oppure del fatto che la lavorazione, cui il lavoratore è stato addetto, non ha avuto idoneità sufficiente a cagionare la malattia, di modo che, per escludere la tutela assicurativa deve risultare rigorosamente ed inequivocabilmente accertato che vi è stato l’intervento di un diverso fattore patogeno, il quale, da solo o in misura prevalente, ha cagionato o concorso a cagionare la tecnopatia” (conformi: Cassazione civ., sez. lav., ordinanza 05.09.2017, n. 20769; Cassazione civ., sez. lav., n. 23653 del 21.11.2016).
Con la sentenza 13 maggio 2019, n. 480 la Corte di Appello di Catania affronta la complessa tematica della malattie professionali, a partire dai principali problemi interpretativi riguardanti il nesso causale e l’onere della prova di cui all’articolo 2740 cod. civ.
Il lavoratore agiva in giudizio nei confronti dell’INAIL per l’accertamento dell’origine professionale della malattia che lo aveva colpito (ipoacusia da rumore), chiedendo la conseguente condanna dell’Istituto al pagamento della relativa indennità.
In particolare, dal 1989 al 2010, il ricorrente aveva lavorato quale compressorista/trivellatore all’interno di gallerie e di grandi e piccole tubazioni, in ambiente confinato con pareti e soffitti riflettenti, con un esposizione oggettiva al rumore e alle dipendenze di grandi aziende dotate di numerose maestranze che utilizzavano contemporaneamente varie tipologie di attrezzature (martello pneumatico, mole, frese e martelli).
Il giudice di prime cure accoglieva la domanda del ricorrente, ritenendo adeguatamente provata la natura professionale della patologia denunciata. A tale riguardo, il giudice di primo grado precisava che, da un lato, la documentazione allegata aveva confermato le mansioni svolte dal ricorrente nel corso dell’attività lavorativa, dall’altro lato – in relazione all’accertamento della patologia denunciata dal ricorrente ed alla sussistenza del nesso causale tra la stessa e l’attività lavorativa svolta – il CTU aveva acclarato che il ricorrente “…è affetto da ipoacusia percettiva bilaterale tecnopatica…”, specificando che sussiste nesso causale tra la pregressa attività lavorativa svolta dal ricorrente ed il danno uditivo.
L’INAIL impugnava la sentenza di primo grado, censurando l’erronea applicazione di legge, l’insufficiente motivazione in ordine alla mancanza di esposizione nei limiti di tempo fissati dalle tabelle per le malattie professionali di cui all’art. 3 del D.P.R. n. 1124/1965 (4 anni), nonché l’inesistenza del requisito del nesso causale tra la patologia ed il rischio lavorativo ritenuto dall’Istituto come non idoneo ed insufficiente.
Con riferimento al nesso causale, poi, l’Istituto lamentava la carenza di prova sul rischio lavorativo (esposizione, intensità e durata) che sarebbe stato riconosciuto sulla base di presunzioni del CTU.
La Corte d’Appello ha confermato la sentenza di primo grado del Tribunale di Siracusa che, riconosciuta sulla scorta della C.T.U. il diritto alla rendita da malattia professionale, aveva accolto la domanda del ricorrente e condannato l’Istituto all’erogazione delle prestazioni assicurative di legge in favore dello stesso.
La Corte adita ha affermato che, contrariamente a quanto sostenuto dall’Istituto appellante, nel giudizio di 1° grado è stato documentato ed allegato che il lavoratore era un compressorista e che usava il martello pneumatico a braccio, mole, mazze, frese ecc., di guisa che gran parte delle prestazioni lavorative poste in essere dal ricorrente (voce n. 50 lettera N e T) sono comprese nella tabella delle malattie professionali allegata al D.P.R. n. 336/1994.
Secondo la Corte, nel caso in cui si dimostri che la lavorazione e la malattia siano entrambe riconducibili nelle apposite tabelle, scatta l’applicabilità della presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall’assicurato.
Naturalmente, a carico dell’INAIL sorgerà l’onere di contrastare siffatto accertamento, fornendo la prova di una diversa eziologia della malattia stessa ed, in particolare, della dipendenza dell’infermità, nel caso concreto, da una causa extra -lavorativa oppure del fatto che la lavorazione, cui il lavoratore è stato addetto, per alcune sue intrinseche caratteristiche non ha avuto idoneità sufficiente a cagionare la malattia.
Su tali presupposti, la Corte di Appello, mancando la prova della dipendenza dell’infermità da una causa extralavorativa, ha rigettato il ricorso proposto dall’INAIL.
Fonte: Altalex
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2019