ingresso-illegale-di-clandestini-quando-sussiste-la-giurisdizione-italiana
Lo stato di pericolo derivante dall’abbandono di migranti in acque internazionali, in seguito soccorsi dall’Italia con l’utilizzo di nave di soccorso battente bandiera straniera, rileva sia ai fini del trasporto che dell’ingresso illegale di clandestini nello Stato, con la conseguenza che contro gli scafisti è competente la giurisdizione italiana.
E’ quanto emerge dalla sentenza della Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione del 3 luglio 2018, n. 29832.
La giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato che sussiste la giurisdizione del giudice italiano relativamente al delitto di trasporto e procurato ingresso illegale nel territorio dello Stato di cittadini extracomunitari nell’ipotesi in cui i migranti, provenienti dall’estero a bordo di navi “madre”, siano abbandonati in acque internazionali, su natanti inadeguati a raggiungere le coste italiane, allo scopo di provocare l’intervento dei soccorritori che li condurranno in territorio italiano, poiché la condotta di questi ultimi, che operano sotto la copertura della scriminante dello stato di necessità, è riconducibile alla figura dell’autore mediato di cui all’art. 54, comma 3, c.p., in quanto conseguente allo stato di pericolo volutamente provocato dai trafficanti, e si lega senza soluzione di continuità alle azioni poste in essere in ambito extraterritoriale (Cass. pen., Sez. I, 8 aprile 2015, n. 20503).
Secondo gli ermellini, anche ad ammettere che l’intervento di salvataggio fosse doveroso, ai sensi delle convenzioni internazionali sul diritto del mare, nulla ciò toglierebbe al fatto che l’antecedente condotta illecita, posta in essere da chi, salpando dalle antistanti coste mediterranee, trasporta e abbandona clandestini in acque internazionali, facendo sì che la condotte ulteriori, incluso lo sbarco finale in Italia, siano riconducibili agli esiti del salvataggio medesimo, debba essere intesa come pianificazione complessiva, unitaria ed organica, che si caratterizza per l’elevato rischio fatto correre ai trasportati, opportunamente strumentalizzato al fine di provocare l’intervento dei servizi di soccorso in mare.
La responsabilità dello scafista non potrebbe in alcun modo essere disgiunta dal segmento di condotta che culmina con l’approdo in Italia, onde l’applicazione dell’art. 6 c.p., e l’affermazione della giurisdizione italiana, che deve ritenersi sempre configurabile allorché il trasporto dei migranti, avvenuto in violazione dell’art. 12 D.Lgs. n. 286/1998, sia stato accertato in acque extraterritoriali ma successivamente, nelle acque interne e sul territorio italiano, si siano verificati, quale evento del reato, l’ingresso e lo sbarco dei cittadini extracomunitari per l’intervento dei soccorritori, esito previsto e voluto a causa delle condizioni del natante, dell’eccessivo carico e delle condizioni di mare.
Anche nei reati a consumazione anticipata, in cui la condotta di pericolo, già in sé punibile, sia tenuta fuori dal nostro territorio, se qui se ne verifichino i voluti effetti tanto basta a radicare, dal lato dell’evento, la giurisdizione italiana (Cass. pen., Sez. I, 22 dicembre 2015, n. 11165).
Nella fattispecie è errata la tesi sostenuta dai ricorrenti secondo cui, stante le condizioni dell’imbarcazione, l’arrivo in Italia, a prescindere dai soccorsi, non sarebbe mai potuto avvenire, onde essi non potrebbero rispondere di condotte in radice idonee a determinarlo; a fronte di tale deduzione, secondo i giudici, è agevole constatare che la fattispecie di reato è il trasporto illegale dei migranti e non già il generico compimento di atti diretti a procurarne l’ingresso illegale, trasporto la cui integrazione non appariva seriamente dubitabile.
Fonte: Altalex
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2018