reato-colposo-l-evento-dannoso-deve-essere-prevedibile-ed-evitabile
In tema di reati colposi l’elemento soggettivo del reato richiede non soltanto che l’evento dannoso sia prevedibile, ma altresì che lo stesso sia evitabile dall’agente con l’adozione di regole cautelari idonee a tal fine (cosiddetto comportamento alternativo lecito), non potendo essere soggettivamente ascritto per colpa un evento che, con valutazione ex ante, non avrebbe potuto comunque essere evitato.
E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, Sez. IV Penale, con la sentenza 29 maggio 2018, n. 24109.
Il conducente di un autocarro veniva dichiarato responsabile del reato di omicidio colposo, aggravato dalla violazione delle norme in materia di circolazione stradale, per avere tamponato la bicicletta della persona offesa, che lo precedeva sulla stessa strada, in zona agricola e priva di illuminazione: tale condotta, improntata a colpa generica e al mancato rispetto della distanza di sicurezza, aveva fatto rovinare a terra la persona offesa che, in conseguenza delle gravissime lesioni occorse, era immediatamente deceduta.
La condanna emessa in sede di giudizio abbreviato, condizionato all’esecuzione di una perizia sulla dinamica del sinistro, veniva confermata in grado di appello.
Nel ricorso per cassazione, proposto per il tramite del patrocinatore, l’imputato aveva articolato tre motivi: in primo luogo, aveva denunciato la violazione dell’art. 521 c.p.p., per avere i giudici di merito ipotizzato un sorpasso del velocipede facendo riferimento alla violazione della distanza laterale (148 cds) a fronte della contestazione di violazione della distanza di sicurezza (art. 149 cds) con conseguente compromissione del diritto di difesa dell’imputato; in secondo luogo, aveva stigmatizzato la violazione dell’art. 43 c.p. assumendo che non fosse possibile prevedere ed evitare lo scontro con la bicicletta, mediante l’adozione di una condotta alternativa tesa a scongiurare l’infausto evento, poiché il ciclista non si trovava sul margine destro della carreggiata e la sua visibilità era ridotta sia per la mancanza di illuminazione della strada e il colore scuro della bicicletta e degli indumenti indossati, sia perchè non indossava il giubbotto catarifrangente, i pedali del velocipede erano privi dei catadiottri e il dispositivo illuminante posteriore non funzionava; da ultimo aveva contestato la logicità della motivazione in relazione alla mancata concessione del beneficio della non menzione.
La Corte ha disatteso le censure proposte evidenziando quanto segue.
In ordine al tema della correlazione tra imputazione e sentenza, ha precisato che la disciplina in questione risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi, ragion per cui, al fine di verificare se vi sia stata violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza e violazione del diritto di difesa, non basta confrontare l’imputazione contestata e quella ritenuta in sentenza sul piano letterale ma occorre accertare che non vi sia stata “una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa”.
Nel caso sottoposto al suo esame la Corte ha escluso la violazione del suddetto principio in quanto il fatto descritto nell’imputazione e quello ritenuto in sentenza attenevano ad un tamponamento rispetto al quale l’imputato aveva esercitato il suo diritto di difesa, anche a mezzo consulenza tecnica.
Rispetto al secondo motivo di impugnazione, i giudici di legittimità hanno ritenuto corretto il ragionamento dei giudici territoriali secondo cui, anche se il ciclista non marciava tenendo rigorosamente il margine destro della carreggiata, la sua condotta non poteva ritenersi un fattore eccezionale interruttivo del nesso di causalità, in quanto la presenza di una bicicletta in zona agricola ma con abitazioni intorno non poteva ritenersi una circostanza atipica, sicchè avrebbe dovuto essere il conducente dell’autocarro più attento e prudente in considerazione del fatto che viaggiava in ora serale, in luogo privo di illuminazione pubblica; inoltre la circostanza che il ciclista avesse la dinamo regolarmente inserita e la luce del fanale anteriore perfettamente funzionante, come emerso dalla perizia, aveva fatto desumere che egli viaggiasse con entrambe le luci funzionanti ancorchè l’accertamento su quella posteriore non fosse stato possibile per essere andato distrutto il relativo faro.
In argomento la Corte ha richiamato il principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di reati colposi l’elemento soggettivo del reato richiede non soltanto che l’evento dannoso sia prevedibile, ma altresì che lo stesso sia evitabile dall’agente con l’adozione di regole cautelari idonee a tal fine (cosiddetto comportamento alternativo lecito), non potendo essere soggettivamente ascritto per colpa un evento che, con valutazione ex ante, non avrebbe potuto comunque essere evitato (cfr. Cass. Pen., Sez.IV, n. 34375 del 2017, Rv. 270823).
Come peraltro precisato dalle Sezioni Unite, nel famoso caso della TyssenGroup, la causalità della colpa si configura non solo quando il comportamento diligente avrebbe certamente evitato l’esito antigiuridico, ma anche quando una condotta appropriata aveva apprezzabili, significative probabilità di scongiurare il danno (Cass. Pen., S.U., n. 38343 del 2014).
Tale impostazione parte dal presupposto che sarebbe irrazionale rinunziare a muovere l’addebito colposo nel caso in cui l’agente abbia omesso di tenere una condotta osservante delle prescritte cautele che, sebbene non certamente risolutiva, avrebbe comunque significativamente diminuito il rischio di verificazione dell’evento o avrebbe avuto significative, non trascurabili probabilità di salvare il bene protetto.
In tale ambito ricostruttivo, la violazione della regola cautelare e la sussistenza del nesso di condizionamento tra la condotta e l’evento non bastano a fondare l’affermazione di responsabilità, giacchè occorre anche chiedersi se l’evento derivatone rappresenti o no la concretizzazione del rischio che la regola stessa mirava a prevenire, difettando la colpa quando l’evento si sarebbe verificato anche qualora il soggetto avesse agito nel rispetto delle norme cautelari.
La Corte di Bologna, ad avviso della Cassazione, aveva aveva fatto buon governo dei principi richiamati: in particolare aveva indicato in maniera esaustiva e persuasiva gli elementi di colpa a carico del ricorrente, sia per la prevedibilità della presenza del ciclista sulla strada extraurbana connotata da abitazioni intorno, sia per l’evitabilità dell’evento in caso di una condotta di guida adeguata allo stato dei luoghi ed all’ingombrante mezzo condotto.
Di qui il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, infondato essendo anche il terzo motivo, posto che la Corte d’appello aveva ritenuto non concedibile il beneficio della non menzione in considerazione della tipologia di reato commesso e della complessiva condotta di guida dell’imputato.
Fonte: Altalex
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2018