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News Giuridiche

Assegno di mantenimento al minore: non pagarlo rimane reato anche senza stato di bisogno

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Il nuovo art. 570 bis c.p., introdotto dal d.lgs. n. 21/2018, sanziona con le pene previste dall’art. 570 la “violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio”; fra queste rientra la violazione degli obblighi di natura economica nei confronti dei figli.

Contestualmente sono state abrogate le previgenti disposizioni penali contenute nella legge sul divorzio (art. 12 sexies, L. n. 898/1970) e nella legge n. 54/2006 (art. 3).

In caso di omesso mantenimento del minore, il reato sussiste anche se il minore non versa in stato di bisogno?

Alla domanda risponde la Corte di Cassazione, Sez. VI Penale, con la sentenza 13 giugno 2018, n. 27175.

Con la sentenza in epigrafe, la Suprema Corte, sez. VI penale, chiosa il rapporto tra l’art. 12 sexies l. 1 dicembre 1970, n. 898 e l’art. 570 bis c.p., nonché tra quest’ultimo e l’art. 570 c.p., in riferimento all’ipotesi di inadempimento dei provvedimenti emessi dall’Autorità Giudiziaria in sede di scioglimento del matrimonio e concernenti gli obblighi di assistenza patrimoniale dei genitori, nei confronti dei figli minori.

In particolare, nella vicenda in questione, la Corte d’appello di Milano confermava la sentenza con cu il Tribunale aveva condannato N.A. alla pena di tre mesi di reclusione ed €. 400 di multa per il reato di cui all’art. 12 sexies l. n. 898/1970, in quanto lo stesso si era sottratto al pagamento dell’assegno mensile di mantenimento di €. 450 e della somma corrispondente al 50% delle spese mediche straordinarie documentate, così come disposto dalla sentenza di scioglimento del matrimonio, emessa il 7/01/2004 dal Tribunale di Milano.

N.A. impugnava la sentenza emessa dalla Corte territoriale, deducendo i seguenti motivi:

1) violazione dell’art. 570 c.p. e vizio di motivazione, in quanto la Corte non avrebbe adeguatamente motivato sullo stato di bisogno della minore, ma lo avrebbe dedotto unicamente dalla circostanza che il nonno materno le avesse assicurato, nel corso del tempo, un contributo economico;

2) violazione di legge in riferimento agli artt. 187 e 192 c.p.p., non essendo stata raggiunta la prova della concreta capacità economica dell’obbligato;

3)violazione di legge in ordine alla determinazione della pena, atteso che la Corte di merito aveva applicato congiuntamente la pena detentiva e quella pecuniaria, in contrasto col dettato normativo degli artt. 12 sexies l. n. 898/1970 e 570 c.p. e con l’evoluzione ermeneutica ad essi relativa.

Con la pronuncia de qua, la Suprema Corte accoglie il ricorso limitatamente al terzo motivo, dichiarando infondati i primi due, sulla scorta delle seguenti considerazioni.

Preliminarmente, occorre rammentare che il D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, in vigore dal 6 aprile 2018, in attuazione della c.d. “riserva di codice”, sancita dall’art.1, comma 85, lett. q), L. 23 giugno 2017, n. 103 (Legge Orlando), ha introdotto nell’ordinamento penale l’art. 570 bis c.p.

Giova precisare al riguardo che il D.Lgs. n. 21/2018, come emerge chiaramente anche dalla sua relazione illustrativa, si propone di riorganizzare la disciplina penale in modo organico e sistematico,  conferendo in tal guisa effettività alla menzionata “riserva di codice”, attraverso la traslazione diretta nel Codice Penale di talune norme incriminatrici, già presenti nell’ordinamento, ma disseminate nella normativa complementare, senza introdurne di nuove.

In tale prospettiva si colloca l’inserimento nel corpus codicistico dell’art. 570 bis c.p., che, lungi dal tratteggiare una nuova fattispecie criminosa, ripropone quanto già disposto precedentemente dall’art. 12 sexies l. n. 898/1970, e dall’art. 3 L. 8 febbraio 2006, n. 54 (in materia di affidamento condiviso dei figli di genitori separati) dei quali infatti è sancita l’abrogazione, a opera dell’art. 7 D. Lgs. n. 21/2018, nel quadro del menzionato riassetto  legislativo.

Proprio in virtù della sostanziale sovrapponibilità degli elementi costitutivi degli artt. 12 sexies l. n. 898/1970 e 3 l. n. 54/2006 con quelli dell’art. 570 bis c.p., la Suprema Corte rileva la piena continuità tra le  fattispecie, ai fini della successione delle leggi penali nel tempo, disciplinata dall’art. 2 c.p.

D’altra parte, invece, appare del tutto evidente la profonda diversità strutturale tra il paradigma normativo di cui all’art. 570 c.p. e  quello ex art. 570 bis c.p., che si riverbera conseguentemente sull’individuazione e delimitazione dei rispettivi ambiti operativi.

Infatti, mentre la giurisprudenza più risalente aderiva a un approccio ermeneutico unitario all’art. 570 c.p., considerando le ipotesi di cui al comma 2 come aggravanti del reato base previsto dal comma 1, di contro gli arresti ormai consolidati del Giudice di legittimità individuano nella norma de qua due distinte fattispecie criminose: la prima nell’art. 570, comma 1 c.p., che sanziona alternativamente con la reclusione fino a un anno o con la multa da €. 103 a €. 1.032, chi si sottragga agli obblighi di assistenza che la legge fa discendere dallo status di coniuge o di genitore; e la seconda nel successivo comma 2, che prevede l’applicazione congiunta delle suddette pene per chi, alternativamente, malversi o dilapidi i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge, ovvero faccia mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore o inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, che non sia legalmente separato per sua colpa.

Ne deriva, con tutta evidenza, che l’alveo in cui si collocano le ipotesi fattuali riconducibili al comma 1 dell’art. 570 c.p. sia diverso e più ampio, rispetto a quello di cui al comma 2, in primis in quanto il comma 1 si riferisce alla violazione di obblighi assistenziali di qualsivoglia natura, e non solo di carattere patrimoniale, et ante omnia perché prescinde dall’accertamento della <<mancanza dei mezzi di sussistenza>>in capo al coniuge, al figlio minore o inabile al lavoro, ovvero agli ascendenti, quale conseguenza della condotta omissiva del reo, con riguardo alla previsione ex art. 570, comma 2, n. 2 c.p.

Ulteriormente diverso è l’ambito operativo del delitto omissivo proprio ex art. 570 bis c.p., sia perché concerne un inadempimento successivo allo scioglimento, alla cessazione degli effetti civili o alla nullità del matrimonio, e non posto in essere in costanza di coniugio (come invece prevede l’art. 570, comma 1 c.p.), sia perché la novella legislativa fa discendere l’integrazione del delitto dalla mera violazione degli obblighi specificamente patrimoniali, derivanti da una delle situazioni testé indicate, o comunque previsti in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli.

Proprio per la diversità strutturale tra l’art. 570 e l’art. 570 bis c.p. la Suprema Corte esclude l’applicabilità della prima norma alla vicenda in questione, con conseguente declaratoria di infondatezza della doglianza concernente la sua violazione da parte della Corte territoriale nella sentenza impugnata.

Infatti, come evidenziato,  è l’art. 570 bis c.p. che prende il posto degli abrogati artt. 12 sexies l. 898/1970 e  3 l. 8 febbraio 2006, n. 54, in piena continuità strutturale con gli stessi per espressa volontà del legislatore, e non l’art. 570 c.p.

Ne consegue l’irrilevanza di ogni accertamento in ordine alla carenza dei mezzi di sussistenza in capo alla figlia minore, a seguito degli omessi versamenti patrimoniali da parte del padre.

Gli Ermellini rilevano, altresì, l’infondatezza del secondo motivo, dedotto nel ricorso avverso la sentenza resa in appello, non solo perché, secondo l’insegnamento ormai granitico della Suprema Corte,  devono considerarsi idonee a spiegare piena efficacia probatoria le dichiarazioni rese dalla persona offesa, quante volte esse siano connotate da attendibilità soggettiva e oggettiva (nel caso di specie, la figlia di N.A. aveva dichiarato di aver verificato personalmente sia che il di lei padre nel periodo in questione aveva prestato lavoro presso l’impresa di cui era titolare la sua nuova compagna, sia l’elevato tenore di vita del genitore, in virtù delle retribuzioni conseguite, e la Corte di merito ne aveva dedotto, tramite logiche inferenze, la capacità contributiva dell’obbligato), ma soprattutto in considerazione del fatto che <<compito del giudice di legittimità nel sindacato sui vizi della motivazione non è tuttavia quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.>>.

Meritevole di accoglimento, perché fondato, risulta invece il terzo motivo di doglianza, con cui viene contestata l’irrogazione congiunta della pena detentiva e di quella pecuniaria, a seguito dell’accertamento della penale responsabilità di N.A. per il reato omissivo proprio, previsto dapprima ex art. 12 sexies l. 898/1970 e successivamente dall’art. 570 bis c.p.

Come accennato, il Supremo Collegio riconosce piena continuità tra l’abrogato art. 12 sexies l. n. 898/1970 e l’art. 570 bis c.p., per l’evidente sovrapponibilità strutturale delle due fattispecie.

Com’è noto, alla stregua dell’art. 2, comma 4 c.p., qualora vi sia continuità tra due norme penali succedutesi nel tempo, occorre applicare al fatto commesso prima della novella normativa la lex mitior, id est quella che, con riguardo al profilo sanzionatorio, meglio persegua il principio del favor rei.

Nel caso di specie, tuttavia, l’interprete è esonerato da tale indagine, atteso che entrambe le norme rinviano alla pena prevista dall’art. 570 c.p.

Invero, tale considerazione solo apparentemente risolve la questione dell’esatta individuazione della pena applicabile, dal momento che l’art. 570 c.p., come innanzi illustrato, prevede due distinti trattamenti sanzionatori, ossia l’applicabilità della reclusione fino a un anno o, alternativamente, della multa da €. 103 a €. 1.032 per le ipotesi di cui al primo comma, e, invece, l’applicazione congiunta delle due specie di sanzione menzionate, detentiva e pecuniaria, ai fatti riconducibili al paradigma del secondo comma.

Sulla corretta interpretazione di tale rinvio quoad poenam, con riferimento all’art. 12 sexies l. 898/1970, si erano già espresse in passato le Sezioni Unite (Cass. pen., sez. un., 30 gennaio 2013, n. 23866, Rv. 255269), che tenendo in debita considerazione l’evoluzione giurisprudenziale diacronica, che aveva riguardato l’art. 570 c.p., avevano infine aderito all’opzione ermeneutica secondo cui detto rinvio fosse riferito solo alle pene previste alternativamente dal comma 1 dell’art. 570 c.p., escludendone, dunque, l’applicabilità congiunta.

Valorizzando la sovrapponibilità strutturale e la continuità temporale tra l’art. 12 sexies l. 898/1970 e l’art. 570 bis c.p., la Suprema Corte, nella pronuncia in commento, richiama le considerazioni  già articolate dalle Sezioni Unite nel mentovato arresto, ed estende la portata di tale approccio ermeneutico anche al rinvio quoad poenam che la novella normativa ex art. 570 bis c.p. opera nei confronti dell’art. 570 c.p., concludendo anche in questo caso per l’applicabilità solo alternativa, e giammai congiunta, della pena della reclusione fino a un anno o della multa da €. 103 a €. 1.032.

In forza di tali motivazioni, il Collegio annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla pena della multa, che elimina, e rigetta il ricorso nel resto.

Fonte: Altalex

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