La normativa nazionale secondo cui che l’omesso versamento, entro i termini prescritti dalla legge, dell’Iva risultante dalla dichiarazione annuale, integri un reato penale unicamente qualora l’importo Iva non versato superi una soglia di rilevanza penale pari ad € 250.000, non contrasta l’articolo 1 TIF in combinato disposto con l’articolo 325, paragrafo 1, TFUE che prevede l’applicazione di una soglia inferiore nelle ipotesi di comportamenti fraudolenti.
La questione è stata sottoposta alla Corte di Giustizia europea dal Tribunale di Varese nell’ambito di un procedimento penale avviato nei confronti del sig. X per aver omesso, nella sua veste di amministratore unico di una società di capitale, di versare, entro i termini prescritti dalla legge, l’imposta sul valore aggiunto risultante dalla dichiarazione annuale presentata per l’anno d’imposta 2012.
A seguito delle eccezioni di parte il Tribunale aveva deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte diverse questioni pregiudiziali fra cui la corretta interpretazione di “illecito fraudolento” disciplinata all’articolo 1 della Convenzione TIF al fine di verificare se potesse ritenersi incluso nel concetto anche l’ipotesi di omesso, parziale, tardivo versamento dell’imposta sul valore aggiunto e, conseguentemente, se l’articolo 2 della convenzione summenzionata imponesse allo Stato membro di sanzionare con pene detentive l’omesso, parziale, tardivo versamento dell’IVA per importi superiori a 50 000,00 euro.
Nella nozione di illecito fraudolento disciplinata all’articolo 1 della Convenzione TIF è incluso anche l’ipotesi di omesso, parziale, tardivo versamento dell’Iva?
Secondo la Convenzione (art 1, paragrafo 1) costituisce frode, che lede gli interessi finanziari dell’Unione, in materia di entrate, qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa:
all’utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti cui consegua la diminuzione illegittima di risorse del bilancio generale [dell’Unione] o dei bilanci gestiti [dall’Unione] o per conto di essa,
alla mancata comunicazione di un’informazione in violazione di un obbligo specifico cui consegua lo stesso effetto,
alla distrazione di un beneficio lecitamente ottenuto, cui consegua lo stesso effetto».
Ed ancora, la Dir. 05/07/2017, n. 2017/1371/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, “la tutela degli interessi finanziari dell’Unione richiede una definizione comune di frode che rientri nell’ambito di applicazione della presente direttiva (…) La nozione di reati gravi contro il sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto («IVA») istituito dalla direttiva 2006/112/CE del Consiglio fa riferimento alle forme più gravi di frode dell’IVA, in particolare la frode carosello, la frode dell’IVA dell’operatore inadempiente e la frode dell’IVA commessa nell’ambito di un’organizzazione criminale, che creano serie minacce per il sistema comune dell’IVA e, di conseguenza, per il bilancio dell’Unione. I reati contro il sistema comune dell’IVA dovrebbero essere considerati gravi qualora siano connessi al territorio di due o più Stati membri, derivino da un sistema fraudolento per cui tali reati sono commessi in maniera strutturata allo scopo di ottenere indebiti vantaggi dal sistema comune dell’IVA e il danno complessivo causato dai reati sia almeno pari a 10 000 000 EUR. La nozione di danno complessivo si riferisce al danno stimato che derivi dall’intero sistema fraudolento, sia per gli interessi finanziari degli Stati membri interessati sia per l’Unione, escludendo interessi e sanzioni. La presente direttiva mira a contribuire agli sforzi per combattere tali fenomeni criminali”.
La definizione di frode così delineata si basa sul carattere intenzionale dell’azione o omissione che costituisce la frode e sui principali elementi costitutivi della condotta fraudolenta. L’elemento intenzionale deve riguardare tutti gli elementi costitutivi del reato, in particolare l’azione e l’effetto, i principali elementi costitutivi di comportamenti fraudolenti, invece, consistono essenzialmente nell’utilizzo di documenti falsi, nella mancata comunicazione di un’informazione in violazione di un obbligo specifico di comunicare derivante da particolari disposizioni giuridiche, oppure nella distrazione di fondi, al fine di diminuzione illegittima di risorse.
Circa il termine «le altre attività illegali» di cui all’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, lo stesso deve essere inteso in senso più ampio, in quanto non fa unicamente riferimento ai comportamenti illeciti della stessa natura e gravità della frode già evidenziati, ma designa abitualmente i comportamenti contrari alla legge (…) La nozione di «attività illegali» non può essere interpretata restrittivamente.
Orbene l’omesso versamento secondo la presente sentenza non rientra in nessuna delle fattispecie evidenziate nella normativa comunitaria mancando il carattere fraudolento determinato da una condotta marcatamente lesiva degli interessi dell’Unione.
Secondo la Corte qualora un soggetto passivo abbia correttamente adempiuto i propri obblighi dichiarativi, gli Stati membri hanno già gli elementi necessari per accertare sia l’importo IVA esigibile che un eventuale omesso versamento della stessa, per cui le sanzioni penali non sono indispensabili come nei casi di comportamenti in frode.
D’altronde, la stessa Corte Europea sui Diritti dell’Uomo ha dichiarato che non rivestono carattere penale i procedimenti e le misure fiscali diretti al recupero delle imposte non pagate e a riscuotere gli interessi di mora, a prescindere dal loro importo.
Su tale conclusione non si ravvisano dubbi né per la Corte europea, né tantomeno per il diritto italiano in ossequio al principio di legalità sui cui è fondato il nostro ordinamento. Ciò determina il divieto di applicazioni analogiche nel campo penale e, quindi, di interpretazioni estensive del concetto di frode a comportamenti che tali non sono.
Per giungere alle conclusioni di cui sopra i giudici europei hanno analizzato il principio di effettività richiamato dall’articolo 325, paragrafo 1, TFUE il quali impone agli Stati membri di lottare contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea mediante misure effettive e dissuasive con forme analoghe a quelle applicabili alle violazioni del diritto nazionale simili per natura e importanza e che, in ogni caso, conferiscano alla sanzione un carattere effettivo, proporzionato e dissuasivo, lasciando agli Stati membri una libertà di scelta nella determinazione delle sanzioni applicabili e graduando le stesse in relazione ai comportamenti fraudolenti o illeciti.
In Italia viene applicato un sistema c.d. a doppio binario (così come nel sistema svedese di cui alla sentenza della stessa Corte relativa al caso Åkerberg Fransson) basato su procedimenti sanzionatori paralleli: amministrativi, di competenza delle autorità fiscali, e penali, di competenza dei Tribunali penali, e di cumulare sanzioni tributarie e sanzioni penali nei casi più gravi di frode.
Nelle ipotesi di omesso versamento, il principio di effettività viene attuato con l’applicazione di sanzioni sia amministrative che penali, infatti, l’articolo 13 comma 1, del decreto legislativo n. 471/97 prevede una pena pecuniaria il cui importo, in linea di principio, è pari al 30% dell’imposta dovuta, mentre l’articolo 10-ter del decreto legislativo n. 74/2000, quale modificato dal decreto legislativo n. 158/2015, prevede l’applicazione della pena della reclusione, da sei mesi a due anni, che viene inflitta alle persone fisiche qualora l’importo IVA non versato superi la soglia di rilevanza penale pari a € 250 000. Si tratta di fattispecie caratterizzate dall’illiceità del comportamento, mentre, diverso trattamento viene riservato alle condotte fraudolente sanzionate, ai fini penali, dagli articoli 2, 3 ed 11 del D.Lgs 74/2000 per le quali non è applicabile la causa di non punibilità di cui all’art. 13 del citata decreto.
In tal modo viene perseguito lo scopo di assicurare la corretta riscossione dell’imposta comunitaria e la simultanea tutela degli interessi finanziari degli Stati e dell’Unione prevedendo, nei casi più gravi, l’applicazione di sanzioni anche penali, come ribadito dalla Corte Europea nella sentenza dell’8 settembre 2015 (Taricco), al fine di reprimere efficacemente le frodi in tale settore.
Fonte: Altalex
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2018