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Nel giudizio di separazione sono ammissibili anche le prove tardive se sono volte a tutelare interessi morali e materiali della prole.
E’ quanto ha deciso la Corte di Cassazione (ordinanza 24 agosto 2018, n. 21178) dando continuità ad un orientamento già esistente.
Il Tribunale di Ivrea aveva pronunciato la separazione personale dei coniugi con affidamento esclusivo dei due figli alla madre e disposto l’obbligo per il padre di corrispondere un mantenimento di euro 350,00 mensili per entrambi i minori.
Il marito ricorre in appello. La Corte torinese dispone l’affidamento condiviso dei figli con collocamento prevalente presso la madre.
In tale sede il contributo mensile paterno per il mantenimento viene elevato ad euro 350,00 per ciascun figlio, fondando la decisione sulla base di una relazione investigativa prodotta dalla difesa della moglie, dalla quale risultava un’ulteriore fonte di reddito dell’uomo di circa Euro 960,00 mensili circa.
In Cassazione, l’uomo lamenta la violazione delle norme procedurali sull’ammissione e assunzione delle prove (art. 345 c.p.c. e art. 356 c.p.c.) in conseguenza dell’acquisizione, nel corso del secondo grado del giudizio, di documento tardivamente prodotto dalla controparte.
Il rapporto investigativo, dal quale emergeva una sua partecipazione ai redditi di un’impresa di famiglia, era stato depositato soltanto in sede di precisazione delle conclusioni, il suo contenuto non era stato confermato dall’esame testimoniale dell’investigatore e c’era stato il necessario contraddittorio sul punto.
I poteri istruttori del giudice per la protezione degli interessi dei figli.
Nei procedimenti separativi e nei procedimenti che vedono coinvolti figli minori, sussistono esigenze e finalità pubblicistiche a tutela degli interessi morali e materiali della prole, che sono sottratte all’iniziativa e alla disponibilità delle parti.
Al giudice spetta sempre il potere di adottare d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio di merito, tutti i provvedimenti necessari per la migliore protezione dei figli, compresi quelli di attribuzione e determinazione del quantum del contributo di mantenimento da porre a carico del genitore (cfr. Cass. Civ. 13.01.2004 n. 270).
Secondo la Corte, si tratta di un orientamento a cui deve essere data continuità .
Sia l’art. 6 comma 9 della legge sul divorzio, sia l’art. 155 c.c. comma 7, in materia di separazione, contengono una deroga alle regole generali sull’onere della prova, poiché il giudice può statuire sull’affidamento e sul mantenimento dei figli anche diversamente rispetto alle domande delle parti o in modifica di un loro accordo.
I provvedimenti che il giudice emette devono essere ancorati a una “adeguata verifica delle condizioni patrimoniali dei genitori e delle esigenze di vita dei figli, esperibile anche di ufficio” (Cass. Civ. 12.12.2005 n. 27391).
Da ciò deriva che le domande delle parti mirate a ottenere il riconoscimento o la giusta quantificazione del contributo di mantenimento, non possono essere respinte perché non provate, se il giudice sia comunque in condizione di desumere altrove l’attendibilità del dato, anche se prospettato dalla parte.
La Cassazione non ha pertanto ritenuto violata la norma che non consente la produzione in appello di nuovi documenti, in considerazione delle esigenze pubblicistiche di tutela degli interessi morali e materiali della prole, che sono sottratte all’iniziativa e alla disponibilità delle parti.
Fonte: Altalex
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2018