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In tema di accertamento, anche dopo l’entrata in vigore del D.L. 193/2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 225/2016, che ha eliminato, dal disposto dell’art. 32, comma 1, n. 2) del D.p.r. n. 600 del 1973, il riferimento ai compensi, resta invariata la presunzione legale posta dal medesimo articolo, con riferimento ai versamenti effettuati su conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili.
E’ quanto ha deciso la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza del 5 ottobre 2018, n. 44562.
Sempre secondo i giudici, la base legale della presunzione per i versamenti è rappresentata, infatti, dal secondo periodo del n. 2) del comma 1) dell’art. 32 richiamato, che non opera alcuna distinzione fra le varie categorie di contribuenti e non è stato toccato né dalla sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, né dal D.L. n. 193 del 2016.
L’art. 32 sopra richiamato dispone che i dati ed elementi trasmessi su richiesta, rilevati direttamente ovvero nei controlli relativi alle imposte sulla produzione o consumo sono posti a base delle verifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 del D.p.r. n. 600 del 1973, salvo che il contribuente dimostri che ne ha tenuto conto nella determinazione dei redditi o che essi non abbiano rilevanza a tale fine.
La norma prevede, altresì, che i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito delle predette operazioni siano poste come ricavi o compensi a base delle rettifiche e degli accertamenti (e sono assoggettabili a tassazione), se il contribuente non ne indica i soggetti beneficiari e sempreché non risultino dalle scritture contabili. Disposizione che si applicava non solo agli imprenditori ma anche ai lavoratori autonomi dalla L. 311 del 2004.
La norma è stata interessata dall’intervento della Corte costituzionale con sentenza n. 228 del 2014, la quale ne ha dichiarato l’illegittimità limitatamente alle parole “o compensi”. A seguito di tale pronunciamento, la giurisprudenza di legittimità ha sostanzialmente affermato che in tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale di cui all’art. 32 del D.p.r. n. 600 del 1973 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché costui è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti a fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza di cui sopra, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai “prelevamenti” su conti correnti (Cass. pen., Sez. V, 9 agosto 2016, n. 16697; Cass. pen., Sez. V, 9 agosto 2016, n. 19806).
Secondo gli ermellini il quadro non è mutato nemmeno a seguito dell’intervento del legislatore con il D.L. n. 193 del 2016 il quale ha eliminato il riferimento ai “compensi”; L’espunzione dei compensi dalla disposizione in esame non esprime, infatti, l’intenzione del legislatore di abolire del tutto l’operatività della presunzione rispetto agli accertamenti bancari sui conti correnti dei professionisti e lavoratori autonomi, ma rappresenta semplicemente il recepimento degli effetti della sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014. Se il legislatore avesse voluto eliminare completamente la presunzione per dette categorie di lavoratori avrebbe dovuto modificare il precedente periodo del n. 2) del comma 1, dell’art. 32 che è da considerare come la fonte di tale presunzione e non opera alcuna distinzione tra le diverse categorie di contribuenti.
Fonte: Altalex
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2018