Non è lavoratore subordinato il professionista che cura i contratti aziendali senza alcun controllo datoriale, anche se sta sempre in azienda e ha un proprio ufficio.
Non sussiste un rapporto di lavoro subordinato di cui all’articolo 2094 cod. civ. tra la società  e il professionista che, oltre a rivestire numerose cariche sociali, curi il perfezionamento dei contratti aziendali, laddove siano ravvisabili ampi margini di discrezionalità  e autonomia nell’ambito del suo operato non soggetto a un controllo successivo da parte del datore, circostanza invece ravvisabile nei casi di subordinazione attenuata tipica del rapporto di lavoro dirigenziale.
In tale contesto sono prive di rilievo le circostanze dell’assidua presenza del professionista in ambito aziendale e della messa a sua disposizione di un ufficio, essendo ciò dovuto all’alto livello professionale delle prestazioni rese e al numero elevato di cariche sociali ricoperte presso tutte le società partecipate.
Questo è quanto affermato dalla recente sentenza della Corte di Cassazione n. 29761 del 2018 che ha confermato integralmente la sentenza della Corte d’Appello di Roma.
La Corte di legittimità ha in primo luogo ribadito il principio generale secondo cui, ai fini della qualificazione come lavoro subordinato del rapporto di lavoro del dirigente, quando questi sia titolare di cariche sociali che ne fanno un “alter ego” dell’imprenditore (preposto, cioè, alla direzione dell’intera organizzazione aziendale o di una branca o settore autonomo di essa) – ove non sussista, al pari del caso di specie qui in esame, alcuna formalizzazione di un contratto di lavoro subordinato di dirigente – è necessario verificare se il lavoro dallo stesso svolto possa comunque essere inquadrato all’interno della specifica organizzazione aziendale, individuando la caratterizzazione delle mansioni svolte, e se possa ritenersi assoggettato, anche in forma lieve o attenuata, alle direttive, agli ordini e ai controlli del datore di lavoro, nonchè al coordinamento dell’attività lavorativa in funzione dell’assetto organizzativo aziendale.
Alla luce di ciò, la Corte ha escluso la subordinazione affermando che:
l’assidua presenza del ricorrente in ambito aziendale era dovuta all’alto livello professionale delle prestazioni rese dallo stesso in relazione alle numerose cariche sociali da costui ricoperte presso le società partecipate dalla convenuta e distintamente remunerate;
la Corte di merito ha evidenziato come lo stesso ricorrente avesse dichiarato di non aver mai percepito alcuna retribuzione, con ciò evidentemente volendo intendere anche la poca verosimiglianza di un rapporto di natura subordinata;
la Corte di merito ha motivatamente escluso un potere di eterodirezione, ancorchè nella forma attenuata compatibile con la pretesa carica dirigenziale del ricorrente (stante l’assenza di rapporto gerarchico, attesi i riconosciuti ampi margini di discrezionalità e di autonomia da parte dello stesso ricorrente nell’ambito del proprio operato, non risultante nemmeno soggetto ad un controllo successivo da parte della pretesa datrice).
Per tali ragioni la Suprema Corte ha rigettato il ricorso affermando la non sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la società e il professionista stante l’ampio margine di discrezionalità e autonomia nell’ambito del suo operato e il suo non assoggettamento al potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro, essendo peraltro irrilevante sia l’assidua presenza del professionista presso i locali aziendali sia la messa a sua disposizione di un ufficio, essendo ciò dovuto all’alto livello professionale delle prestazioni rese e al numero elevato di cariche sociali ricoperte presso tutte le società partecipate.
Fonte: Altalex
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2019