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News Giuridiche

In che modo il giudice di merito deve valutare lo stato di abbandono del minore?

In tema di adozione di minori d’età, sussiste la situazione d’abbandono, non solo nei casi di rifiuto intenzionale dell’adempimento dei doveri genitoriali, ma anche qualora la situazione familiare sia tale da compromettere in modo grave e irreversibile un armonico sviluppo psico-fisico del bambino, considerato in concreto, ossia in relazione al suo vissuto, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, alla sua età, al suo grado di sviluppo e alle sue potenzialità; ne consegue l’irrilevanza della mera espressione di volontà dei genitori di accudire il minore in assenza di concreti riscontri.

Il giudice di merito deve prioritariamente verificare se possa essere utilmente fornito un intervento di sostegno diretto a rimuovere le rilevate situazioni di difficoltà o disagio familiare, e, solo ove risulti impossibile, quand’anche in base ad un criterio di grande probabilità, prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore, è legittimo e corretto l’accertamento dello stato di abbandono, quale premessa dell’adozione.

Inoltre, in tema di dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore, ove i genitori siano considerati privi delle capacità genitoriali, un giudizio altrettanto negativo sugli stretti parenti, in rapporti significativi con il bambino, deve essere formulato attraverso la considerazione di dati oggettivi, osservazioni e disponibilità rilevate dai servizi sociali, che hanno avuto contatti con il bambino e monitorato anche il suo stretto ambito familiare, con una valutazione della personalità e della capacità educativa e direttiva del minore posseduta dai componenti di quello, se del caso anche per il tramite di un consulente tecnico esperto nella materia, in considerazione dei diritti personalissimi coinvolti dall’esito finale del giudizio e del principio secondo cui l’adozione ultra familiare deve considerarsi come approdo estremo.

 

Nozione di abbandono del minore
Presupposto fondamentale per l’adozione è che il minore sia stato dichiarato in stato di adottabilità ai sensi dell’art. 7 della L. n. 184/1983. Sono dichiarati tali i minori di cui sia stata accertata la situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancata assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere temporaneo.

La nozione di abbandono costituisce una clausola generale che il giudice integra tenendo conto delle circostanze del caso concreto, in modo da realizzare in ciascuna fattispecie della vita il preminente interesse del minore (Cass., 11 ottobre 2006, n. 21817). La dottrina sottolinea che l’adozione non ha intenti sanzionatori verso i genitori, le loro colpe sono del tutto irrilevanti, essa piuttosto si concentra sulla situazione oggettiva in cui il minore si trova, indipendentemente dalle cause che l’hanno provocata [G. Ferrando, op. cit.]. Ciò che rileva è esclusivamente il pregiudizio che la situazione in cui si trova a vivere provoca al minore (Cass., 18 febbraio 2005, n. 3389).

Va tuttavia osservato che il diritto del minore alla sua famiglia d’origine va sacrificato soltanto in presenza di una situazione che denota carenze significative e non semplicemente una semplice inadeguatezza dei genitori. A questo proposito, la dottrina osserva che l’adozione viene pronunciata solo in presenza di circostanze che denotino una situazione grave, non recuperabile, tale da pregiudicare in modo grave e non transeunte lo sviluppo psico-fisico del minore, tenuto conto dei tempi e dei meccanismi evolutivi della personalità minorile [G. Ferrando, op. cit.]. Negli altri casi è necessario optare per il ricorso a forme di sostegno della famiglia e dell’affidamento familiare.

Secondo la citata dottrina, il giudicante deve considerare l’interesse di ciascun minore in relazione al caso concreto che lo riguarda e non in base a meri principi astratti. Tra i casi più facili da risolvere si ritrovano quelli in cui il minore non è stato riconosciuto dai genitori o è stato completamente abbandonato, mentre più difficile è la soluzione di casi in cui tra minore e genitori biologici sussiste ancora una qualche forma di relazione: il giudice è chiamato a valutare che impatto abbia siffatta relazione sull’esperienza esistenziale del minore. Al fine di effettuare detta valutazione il giudicante può avvalersi di un consulente tecnico, del pari è preziosa la presenza nel Tribunale per i minorenni accanto ai giudici togati, di componenti laici esperti di discipline psicopedagogiche [G. Ferrando, op. cit.]. Tra le specifiche circostanze concrete che il collegio dovrà tener in conto si segnalano, l’appartenenza del minore e del suo nucleo familiare originario ad altre culture, considerato che la sempre maggiore multietnicità e differente provenienza culturale dei consociati nella società odierna, la tossicodipendenza, la situazione di disagio psichico dei genitori, l’induzione del minore al furto ovvero all’accattonaggio da parte dei genitori.

L’assistenza può essere prestata al figlio anche dai parenti “tenuti a provvedervi” ovvero quelli entro il quarto grado, i quali però devono aver stabilito un “rapporto significativo” con il minore.

L’abbandono può sussistere anche se il minore si trova in affidamento familiare o presso un istituto o quando i genitori l’hanno affidato a terzi, disinteressandosi successivamente di lui. L’abbandono può derivare tanto da una condotta omissiva, con il disinteresse, appunto, quanto da una condotta commissiva, come nel caso di maltrattamenti, percosse, ovvero induzione a comportamenti illeciti o immorali.

Si esclude l’abbandono del minore nei casi in cui siano presenti cause di forza maggiore di carattere temporaneo, come la mancanza di una abitazione o di un lavoro o una malattia curabile, e si può prevedere che il rapporto sia recuperabile, l’adozione non può essere pronunciata, mentre può essere disposto, quale misura di sostegno, l’affidamento familiare [G. Ferrando, op. cit.]. Qualora si trattasse di causa di forza maggiore di carattere definitivo, è possibile giustificare la condotta del genitore, che purtuttavia continua ad esercitare un danno irreparabile sul minore a causa della mancata assistenza. La citata dottrina porta quali esempi una malattia inguaribile, una condanna alla detenzione carceraria e così via. Siffatte circostanze non impediscono la dichiarazione dello stato di adottabilità.

Ai sensi dell’art. 7, comma 2, del D.Lgs. n. 184/1983 il minore il quale ha compiuto gli anni quattordici nel corso del procedimento, non può essere adottato se non presta personalmente il proprio consenso. Tale principio generale – ribadito dagli artt. 25 e 45 della stessa legge – imposto dalla Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989, ratificata in Italia con la L. n. 176/1991, è dettato dall’intento di attribuire rilievo alla personalità e volontà del minore in relazione a provvedimenti che, nel suo interesse, trovano la loro ragion d’essere così che, il minore che abbia compiuto gli anni quattordici, può legittimamente rifiutare, in modo vincolante, la dichiarazione di adozione e, tale rifiuto, proprio per la portata generale della norma in esame collocata all’interno del Capo I delle disposizioni generali sull’adozione, va tenuto in considerazione anche ai fini del procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità (Trib. Palermo, sez. min., Sent. 28 maggio 2009).

Ritenuto che, ai fini ed ai sensi della L. n. 184/1983, l’accertamento delle condizioni del minore va condotto non già con riferimento ad una figura astratta di minore, bensì con riguardo alle concrete, specifiche esigenze di un minore determinato, con la sua storia personale, il suo vissuto, i suoi ricordi, le sue caratteristiche psicofisiche, il suo stadio evolutivo ed i trattamenti terapeutici eventualmente occorrenti, è adottabile, perché in stato di abbandono, un minore in tenera età, gravato da notevolissimi handicap, tanto da essere dichiarato già invalido al 100 per cento, nonché bisognevole di speciale cura e di costante, plurigiornaliera, assai impegnativa assistenza sanitaria e parasanitaria (anche specialistica) e negletto durante la ospedalizzazione nei primi periodi di sua vita, pur se i genitori, dopo avere smesso la consumazione di droga ed avere acquisito una apprezzabile, graduale (ma ancora non completa) autonomia lavorativa, economica ed alloggiativa, appaiono idonei all’allevamento, all’istruzione ed all’educazione degli altri tre figli, del tutto normali; essi non sono, però, idonei alla cura ed alla assistenza dovute al figlio gravissimamente handicappato, tanto che il giudice di primo grado, dopo avere revocato per tutti i germani la dichiarazione di adottabilità, ha, tuttavia, disposto la continuazione “sine die” del pregresso affido familiare per il minore handicappato, alla luce dei notevoli miglioramenti progressivi da lui conseguiti grazie alle cure ed all’assistenza (anche tecnica) amorevoli e costanti prodigategli dagli affidatari, cui il minore invalido è, peraltro, legatissimo, tanto da individuare in essi le vere figure genitoriali, pur essendo anche legato ai genitori di sangue ed ai fratelli. Stante la sussistenza di amichevoli e corretti rapporti tra la famiglia biologica e la famiglia affidataria, appare fin d’ora opportuno, salva in futuro la prova del contrario, disporre che il minore possa proseguire i contatti con i congiunti di sangue, che fanno ormai parte del suo incancellabile vissuto, nella presumibile, ragionevole certezza che tali contatti abbiano ad allargare la sfera affettiva del minore con benefiche refluenze anche sul piano terapeutico; è, infine, da auspicare che i rapporti con la famiglia di sangue abbiano a proseguire, per i motivi che precedono, anche nell’ipotesi che il minore venga ritualmente adottato (App. Roma, 28 maggio 1998).

La dichiarazione di adottabilità del minore, comportando il sacrificio della (del tutto primaria) esigenza di crescita in seno alla sua famiglia biologica, è consentita dalla legge non per il solo fatto che la vita in istituto o presso terzi possa presentarsi intrinsecamente più adatta al suo sviluppo fisico e psichico, ma perché (e solo quando) la vita offerta dai (o dal) genitore naturale sia talmente inadeguata da far considerare la rescissione del legame familiare come l’unico strumento adatto ad evitargli un più grave pregiudizio. (Nella specie, la madre di un minore, proposta opposizione avverso il decreto dichiarativo dello stato di adottabilità di quest’ultimo, aveva rappresentato al giudice di appello una “ritrovata e seria disponibilità a prendersi cura del figlio, frutto del mutamento della propria situazione psicologica che, al momento del primo giudizio, aveva indotto il Tribunale a sottrarglielo”, in ciò confortata dalla contestuale dichiarazione di disponibilità rilasciata dal suo attuale convivente. Il giudice di merito, con decisione confermata dalla S.C., rigettando l’opposizione, ebbe ad escludere la rilevanza di tali circostanze, che nulla avevano a che vedere con la condizione mentale e comportamentale della donna – definita, in sede di rigorosi accertamenti specialistici, “soggetto instabile, irresponsabile, dedito all’uso di sostanze alcoliche ed affetta da sindrome dissociativa” e con la sua condotta di iniziale abbandono nei confronti del minore, nonché di altre due figlie nei cui riguardi era stata già dichiarata decaduta dalla potestà genitoriale) (Cass. civ., sez. I, 29 aprile 1998, n. 4363).

Rassegna giurisprudenziale
Lo stato di abbandono del bambino non venga meno per il solo fatto che riceva alcune cure materiali ed assistenziali finalizzate al suo benessere, da parte dei genitori o di parenti entro il quarto grado. Risulta invece preminente, per il suo interesse e per la sua sana crescita psicofisica, verificare che l’ambiente domestico sia in grado di garantirgli un equilibrato ed armonioso sviluppo della personalità. Non è, pertanto, sufficiente la mera dichiarazione proveniente da un parente che si manifesti disposto a tenere con sé il minore in luogo dei genitori, essendo necessario accertare, in concreto, la comprovata esistenza di pregressi e significativi rapporti con il bambino, nonché l’idoneità genitoriale del parente disponibile (Cass. civ., sez. I, ord., (ud. 21 marzo 2018) 18 giugno 2018, n. 16062).
Tra le violazioni degli obblighi di cura dei genitori verso i figli rientra la capacità di comprendere la malattia e le necessità di cura legate ai gravi problemi relativi al figlio affetto da autismo. Tale violazione comporta la dichiarazione dello stato di abbandono del minore e la conseguente dichiarazione dello stato di adottabilità (Cass., sez. VI civ. – 1, 31 marzo 2016, n. 6248).
Ai sensi della Legge n. 184 del 1983, art. 8 la situazione di abbandono è presupposto necessario per la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore che, comportando il sacrificio dell’esigenza primaria di crescita in seno alla famiglia biologica, è configurabile non solo nei casi di materiale abbandono del minore, ma ogniqualvolta si accerti l’inadeguatezza dei genitori naturali a garantirgli il normale sviluppo psico-fisico, così da far considerare la rescissione del legame familiare come strumento adatto ad evitare al minore un più grave pregiudizio ed assicurargli assistenza e stabilità affettiva, dovendosi considerare “situazione di abbandono”, oltre al rifiuto intenzionale e irrevocabile dell’adempimento dei doveri genitoriali, anche una situazione di fatto obiettiva del minore, che, a prescindere dagli intendimenti dei genitori, impedisca o ponga in pericolo il suo sano sviluppo psico-fisico, per il non transitorio difetto di quell’assistenza materiale e morale necessaria a tal fine (nella specie, proprio in tale cornice di riferimento, la sentenza impugnata ha sviluppato una valutazione anche qualitativa delle funzioni genitoriali, in termini di adeguatezza delle stesse rispetto al fine educativo, sottolineando, nella totale assenza del padre naturale dei minori, l’inidoneità della madre, la quale, a fronte del rilievo relativo alle deplorevoli condizioni igienico-sanitarie nella quali si erano venuti a trovare i minori, aveva contestato in modo puramente verbale e contro ogni evidenza le risultanze degli accertamenti operati dai servizi sociali e non aveva addotto alcun elemento in grado di evidenziare quantomeno un mutato intento di recuperare, anche con l’aiuto dei servizi sociali, il rapporto affettivo-relazionale con i figli) (Cass., sez. I, 3 aprile 2015, n. 6867).
La richiamata valorizzazione del legame naturale – in una con la logica di gradualità e di sussidiarietà degli interventi che ispira la Legge n. 184 del 1983, secondo la prospettiva, comune alle Carte e alle Convenzioni internazionali, che assegna all’istituto dell’adozione il carattere di estremo rimedio – rende necessario dunque un particolare rigore nella valutazione della situazione di abbandono. Né tale accertamento può fondarsi di per sé su anomalie non gravi del carattere e della personalità dei genitori, comprese eventuali condizioni patologiche di natura mentale, che non compromettano la capacità di allevare ed educare i figli senza danni irreversibili per il relativo sviluppo ed equilibrio psichico. I parametri di valutazione della situazione di abbandono sulla quale fondare la dichiarazione di adottabilità sono: a) nel netto favor per la crescita del minore nella propria famiglia; b) nella verifica dell’apprestamento di servizi e strumenti di sostegno al fine di rimuovere o migliorare la situazione di criticità della famiglia del minore; c) nella rigorosa valutazione dell’impossibilità di prestare assistenza materiale e morale al minore al fine di escluderne la transitorietà, e la riconducibilità a fattori causali derivanti da forza maggiore in modo da acquisire la certezza della continuità, stabilità, definitività delle condizioni obiettive e soggettive accertate, anche alla luce della mancata risposta o del rifiuto di accettare gli interventi di sostegno provenienti dai servizi territoriali; d) nell’esigenza di non considerare in astratto l’interesse del minore ma di collegarlo anche in funzione di bilanciamento, con quello dei genitori a conservare il legame filiale, ove tale scelta non determini danni irreversibili nello sviluppo psicofisico del minore medesimo. In questa prospettiva, l’esigenza di accertare con rigore l’irrecuperabilità delle capacità genitoriali in un tempo ragionevole – ora sancita dalla Legge n. 184 del 1983, art. 15, comma 1 – deve certamente tener conto dei veloci tempi esperenziali dei minori, sì che l’attesa di tale esito va esclusa ove incompatibile con i tempi di compiuto ed armonico sviluppo dei minori stessi: ma ciò, senza obliterare la loro futura evoluzione in una definitiva personalità adulta, cui per sempre graverà la recisione, ad opera del diritto, dell’unico legame biologico naturale, che quindi, secondo i principi sopra esposti, deve costituire l’extrema ratio (Cass., sez. I, 12 maggio 2015, n. 9639).
Nel procedimento per la dichiarazione di adottabilità dei minori, le modalità di audizione del minore, la cui mancanza può costituire causa di nullità della procedura, sono stabilite dal giudice, il quale, secondo la sua prudente valutazione, può anche disporre a tal fine una consulenza tecnica (Cass. civ., sez. VI, ord. 24 luglio 2013, n. 17992).

Fonte: Altalex

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