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News Giuridiche

Decreto Rilancio: la procedura di emersione dei rapporti di lavoro

 

È proprio vero che gli italiani in una situazione di crisi sono bravissimi a reagire. Tra le tante misure adottate dal Decreto Rilancio a sostegno dei lavoratori, dei professionisti e delle piccole medie imprese italiane, è stata introdotta una norma che va nella direzione di regolamentare una “questione calda” quale la regolarizzazione dei migranti. Molteplici sono tuttavia i dubbi sollevati circa l’efficacia della procedura descritta nella norma nel conseguire tale obiettivo.

In realtà la norma introduce una doppia sanatoria: da un lato regolarizza rapporti di lavoro irregolari di lavoratori italiani o stranieri, dall’altro introduce per lo straniero con un permesso di soggiorno scaduto la possibilità di ottenerne uno in deroga alle regole “ordinarie” della durata di sei mesi.

L’art. 103 DL Rilancio, rubricato “Emersione di rapporti di lavoro”, introduce la possibilità di regolarizzare, mediante deposito di apposita istanza, il rapporto contrattuale con il lavoratore al fine di produrre i medesimi effetti di un contratto di lavoro subordinato con cittadini presenti sul territorio nazionale, ovvero per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare, tuttora in corso, con cittadini italiani o cittadini stranieri.

Secondo la stima, “ipotetica” lo si precisa, contenuta nella relazione tecnica del DL Rilancio, potrebbero essere circa 220 mila le domande di regolarizzazione di lavoratori stranieri, tra braccianti, badanti e colf. Con un’entrata per le casse dello Stato di circa 94 milioni di euro.

Sommario

Chi può presentare tale istanza?
Chi è il destinatario di tale istanza?
A quali settori si riferisce la norma?
A chi rivolgersi
Cause di inammissibilità e di rigetto delle istanze
Sospensione dei procedimenti penali e amministrativi. Effetti di dichiarazioni mendaci
Conclusioni
Chi può presentare tale istanza?
I datori di lavoro italiani o cittadini di uno Stato membro dell’Unione Europea, ovvero i datori di lavoro stranieri in possesso del titolo di soggiorno previsto dall’articolo 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni.

Chi è il destinatario di tale istanza?
I cittadini stranieri che sono stati sottoposti a rilievi fotodattiloscopici prima dell’8 marzo 2020 ovvero che hanno soggiornato in Italia precedentemente alla suddetta data, in forza della dichiarazione di presenza, resa ai sensi della Legge 28 maggio 2007, n. 68, e che, in entrambi i casi, non abbiano lasciato il territorio nazionale dall’8 marzo 2020. La norma, quindi, si riferisce esclusivamente ai lavoratori con un rapporto di lavoro già in essere e/o il cui datore di lavoro sia “disponibile” all’assunzione o alla sua conferma. A differenza delle regolarizzazioni degli anni passati, non è previsto il rilascio di un permesso di soggiorno per la ricerca di un lavoro, nemmeno nel caso in cui il datore di lavoro, contrariamente alle sue intenzioni e volontà, si trova nell’impossibilità di stipulare il contratto di lavoro.

Numerosi, però, saranno gli stranieri che non potranno accedere alla procedura non potendo fornire la prova della presenza nel territorio italiano perché mai stati sottoposti a rilievi fotodattiloscopici Non è inusuale, infatti, che a un cittadino straniero non siano mai state prese le impronte digitali né in sede di ingresso né durante la permanenza nel territorio nazionale. In mancanza di rilievi fotodattiloscopici, possono comunque essere ammessi alla procedura i lavoratori che, comunque, sono in grado di provare la sussistenza di un rapporto di lavoro preesistente rispetto alla domanda nei settori professionali citati nella normativa.

Viene, invece, riconosciuta ai cittadini stranieri, con permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019, non rinnovato o convertito in altro titolo di soggiorno, la possibilità di richiedere e ottenere un permesso di soggiorno temporaneo, valido solo nel territorio nazionale, della durata di mesi sei dalla presentazione dell’istanza. Il permesso sarà convertito sempre che i predetti risultavano presenti sul territorio nazionale alla data dell’8 marzo 2020 e abbiano svolto comprovata attività di lavoro, nei settori di cui al comma 3, antecedentemente al 31 ottobre 2019.

La norma, quindi, anche qualora non si proceda alla regolarizzazione del lavoratore straniero, dà la possibilità ai cittadini stranieri, con permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019 di richiedere “un permesso di soggiorno temporaneo” della durata di mesi sei dalla presentazione dell’istanza.

A quali settori si riferisce la norma?
La rubrica della norma nasconde un’applicazione della stessa tutt’altro che generale facendo riferimento esclusivamente ai lavoratori impiegati nelle seguenti attività:

a) agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura e attività connesse;
b) assistenza alla persona per se stessi o per componenti della propria famiglia, ancorché non conviventi, affetti da patologie o handicap che ne limitino l’autosufficienza;
c) lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare.

Resta, quindi, e del tutto ingiustificatamente, ogni altra attività di produzione di beni e servizi, ed in particolare il settore edilizio, ove storicamente il peso del “lavoro in nero” ovvero l’apporto da parte di lavoratori stranieri è rilevante. È aperta la discussione circa l’estensione di applicazione della normativa alle c.d. “attività connesse” a quelle principali ed espressamente indicate dal legislatore.

Si badi che, alla domanda, deve essere indicata la durata del contratto di lavoro e la retribuzione, che non può essere inferiore alla retribuzione minima prevista dal contratto collettivo di lavoro di riferimento stipulato dalle organizzazioni sindacali e datoriali più rappresentative sul piano nazionale.

Non è previsto un limite di lavoratori che possono usufruire della procedura di regolarizzazione, essendo previsto un solo criterio temporale: sono valide esclusivamente le domande presentate dal primo giugno al quindici luglio 2020.

A chi rivolgersi
Tre i soggetti chiamati ad esaminare le varie istanze e l’interlocutore del lavoratore cambierà a seconda del contenuto della domanda: in caso di regolarizzazione del “lavoro nero” da parte di cittadini italiani o di uno Stato membro UE, ci si dovrà rivolgere all’INPS, mentre per il dipendente extracomunitario ci si dovrà rivolgere allo sportello immigrazione del ministero dell’Interno. Lo straniero che vorrà chiedere il permesso temporaneo di soggiorno, infine, dovrà rivolgersi direttamente alla Questura.

È stato affidato al Ministero dell’Interno, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ed il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, il compito di individuare le modalità di presentazione della domanda e gli allegati alla medesima. È necessario, quindi, attendere ancora qualche giorno per capire meglio come presentare la domanda ed effettuare il pagamento. Il testo del DL Rilancio, infatti, introduce la previsione di un contributo di € 500,00= per ciascun lavoratore, oltre ad un contributo forfettario per le somme dovute a titolo retributivo, contributivo e fiscale, in caso di presentazione di domanda volta all’emersione di un rapporto di lavoro irregolare, e un contributo di € 130,00=, con riferimento alla domanda di rilascio del permesso di soggiorno temporaneo.

Concreto è il rischio che, nonostante le direttive ministeriali, i tre enti coinvolti, tra loro differenti, procedano autonomamente l’uno rispetto all’altro senza un seppur doveroso coordinamento.

Cause di inammissibilità e di rigetto delle istanze
Il compimento di reati, accertati con sentenza di condanna o di patteggiamento ancorché non definitiva, legati all’immigrazione, allo sfruttamento della prostituzione anche minorile e all’intermediazione illecita e allo sfruttamento del lavoro irregolare da parte del datore di lavoro esclude la possibilità di ottenere la regolarizzazione del rapporto di lavoro. Invero, “Costituisce causa di inammissibilità delle istanze di cui ai commi 1 e 2, limitatamente ai casi di conversione del permesso di soggiorno in motivi di lavoro, la condanna del datore di lavoro negli ultimi cinque anni, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per: a) favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’immigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite, nonché per il reato di cui all’art. 600 del codice penale; b) intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ai sensi dell’articolo 603-bis del codice penale; c) reati previsti dall’articolo 22, comma 12, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni ed integrazioni”.

E ciò a discapito del lavoratore il quale, nonostante abbia lavorato per mesi per un datore di lavoro al pari di un lavoratore subordinato ma senza alcuna tutela, si vede escludere la possibilità del riconoscimento delle tutele offerte dalla norma per esclusiva responsabilità di datore di lavoro.

Costituisce, invece, causa di rigetto della domanda di conversione del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, la mancata sottoscrizione da parte del datore di lavoro del contratto di soggiorno presso lo sportello unico dell’immigrazione ovvero in caso di mancata assunzione dello straniero.

D’altro canto, anche la presenza di precedenti penali in capo al lavoratore esclude la regolarizzazione del rapporto di lavoro. Ai sensi della comma 10 la regolarizzazione del rapporto di lavoro è esclusa, tra le altre cause, ai cittadini stranieri “che risultino condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa quella pronunciata anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei reati previsti dall’articolo 380 del codice di procedura penale o per i delitti contro la libertà personale ovvero per i reati inerenti gli stupefacenti, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’emigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite”.

Rimangono escluse, invece, le ipotesi in cui, sino alla data del 15 luglio 2020, nei confronti del datore di lavoro ovvero del lavoratore il processo penale di primo grado sia ancora in corso.

Rileva, invece, ai soli fini di una verifica della pericolosità dello straniero per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato, la condanna anche non definitiva, compresa quella pronunciata a seguito di applicazione della pena su richiesta delle parti, per uno dei reati previsti dall’art. 381 c.p.p. Lo si ricorda, rientrano in tale categoria di reati, i delitti non colposi, consumati o tentati, per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni ovvero i delitti colposi per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, ed ancora, tra gli atri, i delitti di violenza e minaccia a pubblico ufficiale, lesione personale ex art. 582 c.p., violazione di domicilio nelle ipotesi di cui al primo e secondo comma dell’art. 624 c.p., furto, danneggiamento aggravato, truffa, appropriazione indebita, fabbricazione, detenzione o uso di documento di identificazione falso, falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri, e, per finire tale elenco meramente esemplificativo, il delitto di ex art. 495 ter c.p. ossia fraudolente alterazioni per impedire l’identificazione o l’accertamento di qualità personali.

Sospensione dei procedimenti penali e amministrativi. Effetti di dichiarazioni mendaci
Se da un lato la presenza di una condanna, anche nella forma del patteggiamento della pena su richiesta delle parti, ancorché non ancora passata in giudicato, rappresenta un limite (certo o rimesso ad una valutazione discrezionale) per la regolarizzazione del rapporto di lavoro, dall’altro il comma 11 sancisce la sospensione di procedimenti penali e amministrativi nei confronti del lavoratore e del datore di lavoro qualora il citato processo riguarda l’impiego di lavoratori per i quali è stata presentata la dichiarazione di emersione, anche se di carattere finanziario, fiscale, previdenziale o assistenziale e per l’ingresso ed il soggiorno illegale nel territorio nazionale. Non sono invece sospesi i provvedimenti per i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.

L’adesione alla procedura, per chi presenta l’istanza (datore e lavoratore), sospende i provvedimenti penali ed amministrativi relativamente a lavoro nero, e ingresso irregolare nel territorio dello Stato.

La sospensione del processo opera, quindi, in automatico con l’entrata in vigore della norma con conseguente e inevitabile sospensione del decorso della prescrizione. E permane per tutta la durata del procedimento di regolarizzazione ovvero sino al 15 luglio 2020, quale termine ultimo per la presentazione dell’istanza oppure in caso di rigetto o di archiviazione della stessa.

La sospensione cessa qualora non venga presentata l’istanza, ovvero interviene il rigetto o l’archiviazione della medesima. Verranno comunque archiviati gli aspetti penali e amministrativi se la non conclusione è a causa di forza maggiore, se l’esito negativo del procedimento derivi da cause indipendenti dalla volontà o dal comportamento del datore medesimo.

I citati procedimenti penali e amministrativi sono da ritenersi definiti con pronuncia di estinzione del reato o degli illeciti amministrativi in caso di sottoscrizione del contratto di soggiorno, congiuntamente alla comunicazione obbligatoria di assunzione di cui al comma 15. Nei casi di cui al comma 2, l’estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi relativi alle violazioni di cui al comma 11 consegue esclusivamente al rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

Sono inasprite le sanzioni di cui all’art. 603 bis c.p. in caso di sfruttamento, da parte del datore di lavoro, di lavoratore irregolare ai sensi dell’art. 2 del medesimo articolo.

Si badi, inoltre, che nelle more della definizione del procedimento di regolarizzazione lo straniero non può essere espulso, tranne che nei casi previsti dal comma 10, peraltro ostativi all’accoglimento della domanda di regolarizzazione.

Il contratto di soggiorno stipulato sulla base di un’istanza contenente dati non rispondenti al vero è nullo ai sensi dell’art. 1344 c.c. e il permesso di soggiorno eventualmente rilasciato è revocato.

Conclusioni
Ancorché nata anche al fine di “garantire livelli adeguati di tutela della salute individuale e collettiva in conseguenza della contingente ed eccezionale emergenza sanitaria connessa alla calamità derivante dalla diffusione del contagio da COVID-19”, manca all’interno della lunga norma ogni riferimento ad una qualsivoglia forma di contrasto alla diffusione del virus. La mera presentazione della domanda abilita il lavoratore allo svolgimento dell’attività lavorativa, senza che lo stesso venga sottoposto ad un accertamento medico-sanitario? La norma, infatti, presenta una portata esclusivamente di natura economico-produttiva, peraltro limitata ad alcuni settori produttivi del nostro paese (risulta escluso il settore dell’edilizia, che coinvolge un numero cospicuo di lavoratori stranieri). Una scelta del tutto ingiustificata che rischia di rendere la sanatoria in commento inefficace, oltre alla mancata previsione di incentivi per il datore di lavoro il quale, al contrario, si trova costretto a corrispondere un contributo di € 500,00= per ogni singolo lavoratore coinvolto nella procedura di regolarizzazione.

Fonte: Altalex

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